«Mi dispiace molto di non potere più utilizzare la musica di Thamos! Il dramma non è piaciuto e diventerà uno dei molti gettati nel cestino, destinati a scomparire dalle scene. Dovrebbero rappresentarlo, questo Thamos, esclusivamente per la mia musica, ma sarà ben difficile che ciò avvenga. Peccato, davvero peccato!»
(lettera al padre, 15 febbraio 1783)
Le sorti di questo dramma eroico furono infelici sin dall’inizio. L’autore – il barone Tobias Philipp Freiherr von Gebler – era un nobile dignitario alla corte della reggente Maria Teresa d’Austria e anche scrittore dilettante, che aveva come punto di riferimento il teatro tedesco di Lessing. Nel 1773 portò a termine un dramma di ambientazione egiziana, il Thamos, König in Ägypten, subito ritenuto degno di essere addirittura messo in musica. La prima persona a cui si rivolse fu l’anziano Gluck, che declinò pur accettando di esaminare composizioni di altri. A fine maggio trovò un musicista disposto a musicarlo, la cui musica fu effettivamente vista ed esaminata da Gluck, ma il lavoro alla fine venne rifiutato dal barone. Durante l’estate scrisse ad uno dei suoi corrispondenti di aver trovato «un certo Signor Mozzart» [sic] disposto a scrivere la musica per il suo dramma. Il 13 dicembre due cori erano pronti per la prima rappresentazione a Pressburg nello stesso anno. Non venne però salutata con particolare favore dal pubblico, né a Vienna nel 1774 e nemmeno nella sua Salisburgo (dove non venne citato neppure il nome del compositore).
Il giovane Mozart, all’epoca diciottenne, era ancora il Wunderkind appena tornato dai viaggi che negli anni ’60 il padre Leopold organizzò per presentare il piccolo prodigio alle corti europee. Conosciuto (quando lo era…) più per le sue doti esecutive ed improvvisative, doveva ancora affrancarsi da quell’etichetta scomoda per costruirsi una carriera autonoma ed indipendente come compositore. In precedenti lavori nei quali si era confrontato con la scrittura teatrale, Mozart ha cercato di imitare modelli contemporanei, con notevole talento ma senza esplorare le autentiche possibilità drammatiche della musica. Era un bravo imitatore di stili già esistenti, ma non particolarmente originale né innovativo: alla fine, erano considerate opere di un enfant prodige.
Di ritorno da un istruttivo viaggio a Monaco, Mannheim e Parigi, nel 1779 dovette accettare la modesta carica di organista presso la corte arcivescovile di Salisburgo. Qui entrò in contatto con una compagnia teatrale itinerante, guidata dall’impresario Johann Böhm e dal suo assistente Emanuel Schikaneder, con il quale Mozart intrecciò una duratura amicizia. Fu l’occasione per rivedere i due cori per il Thamos, ampliandoli contrappuntisticamente e aggiungendo intermezzi musicali tra gli atti (con tanto di recitato accompagnato tra III e IV atto), più un finale corale con interventi solistici. Testimone a Mannheim delle possibilità drammatiche orchestrali, aggiunse i flauti ai cori per ottenere un’orchestrazione più colorita, che ne guadagnò in contrasti energici e indipendenza nelle parti di legni, ottoni e archi. Nonostante l’intenso rimaneggiamento e arricchimento, le successive rappresentazioni a Salisburgo e a Francoforte ebbero uguale insuccesso, definitivamente sancito dal fiasco a Vienna nel 1783. Si cercò di salvare il salvabile: la compagnia riciclò le musiche per un altro dramma ad ambientazione orientale; Mozart invece sottopose ai cori versi in latino, trasformandoli in «inni spirituali».
Le ragioni andrebbero probabilmente ricercate nel testo del barone von Gebler: un’intricata trama di successioni dinastiche, nella quale il triangolo amoroso è presente solo per giustificare l’argomento politico. L’ambientazione egizia e l’esotismo, infatti non sono che occultamenti per un messaggio pedagogico offerto a modello all’erede Giuseppe II. Se infatti la figura del nobile sovrano spodestato e vestito di abiti sacerdotali lo interpretassimo come guida e riferimento per il giovane re, la sua investitura sarebbe un rito d’iniziazione ai segreti che un giorno egli stesso rappresenterà. Dietro al suo ossequioso lavoro come ministro di Maria Teresa, in realtà, von Gebler era contemporaneamente un iniziato della massoneria tedesca e austriaca: potrebbe nascondersi lui dietro all’allontanamento dei gesuiti dai luoghi di potere. Infatti, una volta rimossa la struttura gesuitica, la massoneria avrebbe potuto assumere senza rivali il ruolo di istitutrice dei prìncipi, trasmettendo conoscenze e regole capaci di formare una nuova stirpe illuminata che avrebbe usato il potere solo come strumento per la felicità e la pace dei sudditi. Dai temi del potere e dell’empietà presenti nel dramma si può risalire agli ideali dell’umanitarismo massonico.
Fu probabilmente questo motivo a convincere il giovane Mozart a perseverare i suoi sforzi in quest’opera dalle vicende sfortunate. Non è un segreto che provasse simpatie per gli ideali illuministici della massoneria, tanto da affiliarsi nel 1784 alla Loggia viennese «Zur Wohltätigkeit» (“Alla benevolenza”). Sorprende, tuttavia, che il suo interesse si sia concretizzato tanto precocemente in impegno a musicare un’opera dai così forti connotati massonici in tempi non sospetti. Il suo interesse principale, come testimonia la lettera al padre del 1781, tuttavia era la musica. Quando la scrisse fu fiduciosamente attento a rispettare la dottrina degli Affetti, che difatti guida le scelte drammatiche degli intermezzi, come intensificazioni di situazioni o stati d’animo – trascritte dal padre in appunti sul manoscritto – quasi ‘a programma’ per ogni interludio: «Il primo atto finisce con la determinazione di Mirza e Pheron di porre quest’ultimo sul trono»; «La nobile natura di Thomas [sic] è messa in luce alla fine del secondo atto; il terzo atto si apre con Thamos ed il traditore Pheron»; «Il terzo atto si conclude con il perfido dialogo fra Mirza e Pheron»; «La confusione universale conclude il quarto atto»; «[Quinto atto] La disperazione di Pheron, la sua empietà e la sua morte». È possibile ricondurre per ognuno le scelte musicali utilizzate per descrivere i contenuti ‘extra-musicali’: (I) i tre forti accordi orchestrali che simboleggiano la determinazione di Mirza, mentre l’Allegro in tonalità minore esprime le sue violente emozioni; (II) due soggetti musicali si alternano rappresentando «l’ipocrisia di Pheron» e «l’onestà di Thamos»; (III) Allegro agitato pieno di improvvisi cambiamenti di tempo, tonalità e stati d’animo; (IV) vengono usati due soggetti contrastanti, uno inquieto a rappresentare i cospiratori, ed uno calmo e dignitoso per descrivere Thamos; (V) breve scena di tempesta, simboleggiata da varie scale cromatiche. Le scene corali si collocano all’interno dell’azione teatrale, rappresentando: nella prima, ad apertura del dramma, i sacerdoti e le sacerdotesse (divisi anche in due cori distinti) intenti a venerare la divinità del Sole in un solenne sacrificio nel Tempio; nella seconda, la scena rituale dell’incoronazione, con inni cantati in onore al Re d’Egitto in episodi solistici, alternati e d’insieme; l’ultimo coro chiude grandiosamente, preceduto da un Sacerdote solista, con la morale d’obbedienza e sottomissione alla divinità e al Re.
Nella produzione mozartiana quest’opera risveglia inevitabili assonanze con Il Flauto Magico, ma piuttosto è vero il contrario: è quest’ultimo a godere degli influssi e delle lezioni apprese in giovinezza dalle prime esperienze teatrali. Le coincidenze non mancano: l’ambientazione egizia, la trama e i personaggi sono sospettosamente simili (forse perché tratti dalla stessa fonte: il Séthos dell’abate Jean Terrasson); lo stesso librettista: Schikaneder, che aveva anche lavorato alle produzioni del Thamos; il genere del Singspiel, versione tedesca del melologo, o mélodrame francese; molte situazioni musicali trovano similitudini in questa ed altre opere ancora (ad es. nel Don Giovanni), oltre all’impiego intensivo di un lessico musicale di chiara simbologia (il triplice accordo, il ritmo puntato, accordi diminuiti a sottolineare significati negativi, l’uso di particolari intervalli melodici, etc.) che invitava l’ascoltatore iniziato ad una doppia interpretazione. Ciò che nel Thamos difettava per immaturità, nel Flauto Magico è risolto con l’esperienza; se Thamos risentiva di una vena Sturm und Drang, nel Flauto Magico ogni stile è trasceso per suonare indipendentemente come ‘mozartiano’; ciò che come messaggio ideale non era passato nelle rappresentazioni fallimentari del Thamos, viene ripreso, rielaborato e ritualizzato di fronte al pubblico del Flauto Magico, a costo di adottare ogni trucco, ogni trabocchetto, ogni macchina spettacolare dello Zauberopern, pur di trasmettere quei sentimenti universali di Umanità, Fratellanza e di Gioia che la sua musica si prefiggeva di comunicare. Per questo Mozart si dispiacque degli insuccessi, ma fu fermo e perseverante pur di non abbandonare il così nobile e utile scopo di educare nell’ascolto la società intera.
Thamos, re d’Egitto apre la rassegna MusicAteneo 2023, con un concerto-spettacolo che tiene conto della natura teatrale di questa composizione: infatti Coro e Orchestra, diretti da Alessandro Bombonati, si alterneranno in scena con tre voci recitanti che avranno il compito di ricreare i contesti drammatici dai quali nascono gli otto numeri musicali. Le voci saranno quelle di Donatella Allegro, Simone Francia ed Elisabetta Leone, affiancate dal baritono solista Alessandro Branchi. L’appuntamento per chi è curioso di ascoltare questa rarità è per lunedì 17 aprile, alle ore 21 nell’Aula Magna di S. Lucia, in via Castiglione 36.
Adattamento narrativo di Nicola Carli, Virginia Di Tullio, Chiara Leone, David Winton.
Ingresso libero fino a esaurimento dei posti disponibili.
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